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Il Po: l’esperienza del laboratorio P.T.O. (Progetto territoriale operativo Po) e del Piano d’Area del sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po. Una best practice “di pianificazione ambientale”.

Una occasione che rischia di scemare, che è invece da far evolvere nelle nuove prospettive Unesco e di Bacino.

( 11 Novembre 2015 )

Il Fiume Po in Piemonte è un tratto distintivo e di unione sotto molti aspetti: è in questa Regione infatti che l’Eridano attraversa come una spina dorsale l’intero territorio, cosa che in nessuna delle altre regioni del Bacino del Po accade ed è stato un simbolo di sintesi e unione, e continua ancora ad esserlo, perché lungo di esso si sono unite Alpi e Pianura, Uomo e Natura, Società ed Ecologia, Economia e Tutela, Città e Campagna, Paesaggio e Parchi. E tutto ciò grazie a cosa? Ad un Piano ed a un soggetto che ne ha avuto cura per decenni.

Erano gli anni 80’ quando la Regione, con grande lungimiranza, fece partire una operazione che ha avuto riconoscimenti a livello internazionale ed è stato modello per tanti anni di un moderno approccio alla pianificazione ambientale: si tratta del Progetto Po (Piano territoriale Operativo del Po), ovvero la messa in pratica di quegli strumenti di legge allora previsti dalla normativa urbanistica sull’uso del suolo, ed ancora oggi in realtà presenti nella legge dopo le modifiche effettuate nel 2013 – all’art. 8ter del Codice dell’Urbanistica vigente.

Con la nascita dei parchi del Po nel 1990, successivamente questo progetto viene preso in carico da questi, che dal 1995, anno in cui il PTO viene “trasformato” nel Piano d’Area del Po, iniziano a curarne la gestione con tanti casi affrontati e risolti.

Nel 2009, a causa dell’apparente decadenza di quel tessuto normativo che teneva insieme aree protette e territorio circostante (le zone di salvaguardia), la nuova legge dei parchi non cita più il Piano d’area salvo tenere in vita con l’ossigeno quello esistente. Una situazione che nella stessa legge è in parte in realtà recuperabile, in quanto quel tessuto normativo di collegamento trasformato in Aree contigue, non è altro ed ancora che uno strumento derivante sempre dalla legge dei parchi, quindi non aree protette ma aree di raccordo con il contesto, che proprio addirittura le recenti proposte di modifica della legge nazionale dei parchi 394/91 prevedono di includere, e non di escludere, nella pianificazione dell’area protetta.

Ma questa situazione di indebolimento dello strumento di pianificazione del Po è opportuna e coerente rispetto alle tendenza in atto?

Parrebbe proprio di no, visto che oggi tutte le linee di lavoro sul territorio, nazionali, europee e internazionali, invitano e suggeriscono approcci integrati e visioni di insieme, mentre al 2015 la pianificazione del Po in Piemonte per il suo sistema di aree protette è rinviata a tanti piccoli piani naturalistici redigibili senza una linea comune e coordinata e soprattutto senza un quadro territoriale di riferimento adeguato ed aggiornato, come il Piano d’Area. Quello vigente è ovviamente da aggiornare, ha sulle spalle 25 anni di storia ed è pertanto uno strumento che è necessario riprendere, ma come strumento nuovo e contemplato nella legislazione regionale con specificità e dignità di strumento di integrazione fra aree protette e territorio.

Anche nell’ottica dei suoi strumenti di applicazione a nostro parere - come già pubblicato nella nostra news del 2.11.2015 – la situazione oggi esistente presenta molte lacune soprattutto in termini di efficacia dell’azione di gestione ambientale e del suolo. Si può infatti affermare che, rispetto alla precedente normativa regionale, in particolare per l’area protetta del Po dove siamo in presenza di un Piano d’Area approvato, il disposto normativo per cui era necessario richiedere all’Ente di gestione un parere obbligatorio infraprocedimentale, poneva l’Ente stesso in una posizione che consentiva di richiedere avendone pieno titolo giuridico, all’amministrazione comunale e/o al proponente, una illustrazione tecnica (elaborati grafici, relazioni) il più completa possibile delle proposte di intervento. Di conseguenza la percezione delle trasformazioni immobiliari, in particolare del patrimonio edilizio, acquisiva una maggiore nitidezza rispetto al quadro informativo sulle trasformazioni stesse che si ora può ottenere con l’attuale comunicazione, avendone infine il tempo per poter esaminare le questione, oggi compresso in 30 giorni, cosa mai prevista per le materie ambientali per le quali come noto la giurisprudenza riserva una attenzione speciale prevedendo tempi superiori di esame. Senza parlare ovviamente del fatto che l’istituto del monitoraggio sull’uso del suolo ha escluso tutte le aree contigue, non potendo quindi più applicare quel supporto che negli anni era stato dato, che sarebbe possibile invece ripristinare con un atto di indirizzo dell’Amministrazione regionale che si appoggi all’articolato dell’attuale legge sui parchi proprio in materia di aree contigue.

La possibilità di disporre di un quadro informativo ampio sull’intervento, permetteva pertanto all’Ente di Gestione di svolgere anche una funzione di supporto verso i soggetti trasformatori del territorio. Infatti, in molti casi nei quali le proposte di intervento risultavano solo parzialmente coerenti con le norme del Piano d’Area, l’Ente negli anni ha svolto un’azione di supporto al fine di far evolvere le iniziali proposte progettuali in soluzioni maggiormente coerenti rispetto ai vincoli ed alle misure di tutela e salvaguardia previste dalle norme specifiche del Piano d’Area. In particolare, anche attraverso la forma del parere preventivo, si era verificata una positiva interazione tra l’Ente di Gestione e i professionisti incaricati da parte dei committenti, al fine di individuare, fra un serie di proposte progettuali fra loro alternative, le soluzioni che meglio potevano rispondere alle esigenze di tutela dei valori ambientali e paesaggistici riconosciuti dal Piano d’Area, salvaguardando la sostenibilità sia economica che funzionale delle opere. Si è trattato di una forma di evoluzione dell’istituto giuridico del parere, che oggi peraltro ancora sopravvive, come un “relitto glaciale”, essendo formalmente previsto dalla normativa (Norme di Attuazione) degli elaborati del Piano d’Area della Fascia fluviale del Po, approvati dallo Consiglio regionale del Piemonte nella seduta dell’8 marzo 1995.

Anche in ragione di tali motivazioni di contenuto pare opportuno rivedere allora tutta la questione, aggiungendo quindi anche un elemento di evoluzione dell’attuale normativa rispetto alle procedure per l’applicazione del Piano.

Quindi quali conclusioni trarre?

Oggi le problematiche di gestione dei territori intorno al Po si sono evolute: il Delta del Po è area Mab Unesco dal 2015, da anni sia la confluenza Ticino-Po che il Monviso sono aree Mab e nel 2015 il nostro territorio si è candidato. Roberto Gambino ha negli ultimi tempi sostenuto che le prospettive Unesco, con il loro valore di integrazione dei patrimoni e di collocazione su una prospettiva di internazionalizzazione, sono di grande interesse e verso queste dimensioni occorrerebbe integrare le politiche di raccordo fra paesaggio e natura. E come non rinviare queste riflessioni anche nella dimensione di Bacino del Po, nella quale la stessa Autorità ha elaborato importanti quadri strategici come il PSS Valle del Po, che costituisce oggi a nostro parere l’unica cornice territoriale ed operativa sul sistema del fiume Po.

Allora non pare proprio opportuno, anche per il rispetto del grande lavoro svolto da molti esperti e dai territori coinvolti dal 1995 ad oggi (da leggere in merito l'interessante saggio di Roberto Gambino), pensare che il Piemonte abbia nella sua cassetta degli attrezzi un martello, il Piano d’Area, che allentando negli anni la presa ci si limiti a permettere che tenga con qualche chiodo nella sua anima di legno, come possono fare i falegnami del fai da te.

Abbiamo bisogno invece di un nuovo martello, magari in lega, un nuovo laboratorio per costruire uno strumento PTO del Po contemporaneo, coordinato con il Piano di Bacino e con le Pianificazioni strategiche nel corso degli anni approvate, con una capacità di monitoraggio e legame con la scala locale più raffinata, con guide applicative sui temi del paesaggio, dotato di “strumenti applicativi nuovi” che sperimentino a scala territoriale i temi delle perequazioni, con convenzioni attuative, con leve di lavoro concrete con il mondo dell’agricoltura, con misure di compensazioni quantificate etc….. etc….. etc …... L’esperienza in questi anni è stata svolta, ora è il momento di far nascere una nuova stagione da pianificazione del terzo millennio, e non uno spuntato e vecchio set di attrezzi del ‘900.

Il Piemonte, ha avuto nei parchi elementi guida del processo di applicazione della pianificazione ambientale e può oggi da questi partire per costruire un processo virtuoso nuovo, con parchi che hanno lavorato con i territori ed hanno stabilito radici e opportunità, che solo i detrattori non vogliono vedere ma che invece chi ha l’onestà di comprendere ha sotto gli occhi tutti i giorni: e laddove occorre migliorare possiamo farlo, a partire da una legge sperimentale sulla pianificazione integrata ambientale, il cui laboratorio può essere proprio lui: Il Po.

Dr.Ippolito Ostellino , Naturalista e Direttore del Parco del Po e della Collina torinese

(per le parti relative agli effetti applicativi dei pareri arch. Andrea Insalata dell’ufficio tecnico del Parco)

Il Po: l’esperienza del laboratorio P.T.O. (Progetto territoriale operativo Po) e del Piano d’Area del sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po. Una best practice “di pianificazione ambientale”.
Il Po: l’esperienza del laboratorio P.T.O. (Progetto territoriale operativo Po) e del Piano d’Area del sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po. Una best practice “di pianificazione ambientale”.
 
Il Po: l’esperienza del laboratorio P.T.O. (Progetto territoriale operativo Po) e del Piano d’Area del sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po. Una best practice “di pianificazione ambientale”.
Il Po: l’esperienza del laboratorio P.T.O. (Progetto territoriale operativo Po) e del Piano d’Area del sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po. Una best practice “di pianificazione ambientale”.
 
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